Il Petrarca giunse per la prima volta a Padova nel 1349, su invito di Iacopo II da Carrara, signore della città . Aveva 45 anni ed era celebre in tutta Europa come storico, filosofo e poeta latino. Nel 1341, rifiutata l'offerta fattagli dall'Università di Parigi, era stato incoronato poeta a Roma in Campidoglio. Petrarca ospite di Jacopo II Il 19 dicembre 1351 Iacopo II da Carrara veniva assassinato da un congiunto. Il figlio e successore Francesco chiamò il Petrarca a Padova. Il poeta scriverà all'amico Giovanni Boccaccio, l'autore del Decameron: «La Fortuna, dopo aver mietuto intorno a me tanti amici ed avermi privato di tanti conforti, mi ha rapito con improvvisa, orribile e veramente indegna morte il migliore, il più caro, il più dolce sostegno e decoro dei miei giorni». Per la tomba di Iacopo II, opera dello scultore Andreolo de'; Santi, il Petrarca compose una commossa epigrafe, che si può ancora leggere nella chiesa degli Eremitani. Petrarca ospite di Francesco da Carrara Durante gli anni veneziani, Francesco da Carrara, che amava il poeta di affetto filiale e lo voleva presso di sé, non mancò di invitarlo con insistenza a Padova. Nell'aprile del 1368 quando si recò a Udine per rendere omaggio all'imperatore Carlo IV, sceso in Italia per la seconda volta, il Carrarese volle che il poeta fosse al suo fianco. Commosso da tante attenzioni il Petrarca decise di lasciare Venezia e stabilire la sua definitiva residenza a Padova. «Qui a Padova sono sicuro di essere amato» avrebbe dichiarato qualche anno più tardi a Matteo Longo, arcidiacono di Liegi e suo caro amico. La città , che si gloriava di una delle Università più prestigiose d'Europa, gli offriva, oltre alla potente protezione del principe carrarese, un soggiorno piacevole e una numerosa cerchia di amici vecchi e nuovi: Giovanni Dondi, medico e astronomo Nella casa canonicale, dove aveva riunito la sua preziosissima biblioteca, il Petrarca visse serenamente, lavorando ad alcuni dei suoi capolavori tra i quali l'Africa, il Canzoniere e i Trionfi. Su invito di Francesco da Carrara, al quale sarebbe stato dedicato, il Petrarca riprese il De viris illustribus, raccolta delle biografie di 36 celebri personaggi dell'antichità ;. L'opera, su diretto suggerimento del poeta, fu alla base della vasta decorazione pittorica, oggi perduta, voluta dal Carrarese per 'ampio salone della sua reggia, poi detto "Sala dei Giganti". La casa di Arquà Nei primi mesi del 1370 la casa di Arquà era già pronta. Il Petrarca vi si trasferì nel marzo. Aveva al suo servizio alcuni servi, ai quali si aggiungevano quattro o cinque copisti, ed era visitato da amici ed ammiratori. Così descriveva la sua vita ad Arquà qualche anno dopo al fratello Gherardo: «Per non allontanarmi troppo dalla mia chiesa, qui fra i colli Euganei, a non più di dieci miglia da Padova, mi sono costruito una casa piccola ma deliziosa, cinta da un oliveto e da una vigna, che danno quanto basta ad una famiglia numerosa, ma modesta. E qui, benché ammalato, vivo pienamente tranquillo, lontano da ogni confusione, ansia e preoccupazione, passando il mio tempo a leggere e a scrivere». Nel 1367 il papa Urbano V aveva provvisoriamente riportato dopo 64 anni la sede papale da Avignone a Roma. Il Petrarca, che tanto aveva sollecitato con le sue lettere la fine del «turpe esilio avignonese», era stato invitato alle solenni celebrazioni, ma violenti attacchi di febbre ne avevano rinviato più volte la partenza. Al rinnovato invito del papa, che gli scrisse personalmente, nel 1370 decise di mettersi in viaggio. Ma a Ferrara venne colto da una violenta sincope, che lo fece credere morto. Ad Arquà, dove era tornato dopo qualche tempo, lo raggiunsero la figlia Francesca e il genero Francescuolo da Brossano con la piccola Eletta. Petrarca morì nella notte fra il 18 e il 19 luglio 1374, giorno del suo settantesimo compleanno. Stava lavorando al Compendio del De viris illustribus. Al Boccaccio, che, avuta notizia delle sue non buone condizioni di salute, gli consigliava di mettere da parte gli studi e la fatica dello scrivere, Petrarca aveva ribattuto: «Non c'è peso più leggero della penna, né più dolce. Gli altri piaceri svaniscono e dilettando fanno male, la penna invece dà gioia quando la si prende in mano e soddisfazione quando la si posa, riuscendo utile non solo a chi la usa, ma spesso anche a molti altri che sono lontani, anche a coloro che vivranno dopo migliaia di anni» |
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